Uno dei settori più toccati dalle conseguenze dellemergenza sanitaria è lAbbigliamento: la chiusura dei negozi è stata la classica mazzata per un mercato in difficoltà già da diversi anni. Si sa che i consumatori italiani amano lo shopping, il girar per negozi ma in questa situazione si dichiarano daccordo con la decisione del Governo. In una scala di accordo da 1 a 10, il punteggio è oltre il 9, di fatto unapprovazione pressoché incondizionata. La chiusura dei negozi è necessaria perché bisogna contenere la diffusione del virus (59,9% degli intervistati) e a tale scopo bisogna limitare il più possibile i contatti fra le persone (55,6%) anche perché lAbbigliamento non è percepito come un bene di necessità (33,9%).
Unalternativa allacquisto nel negozio fisico è il canale on line ma solo in caso di necessità e neanche con troppa convinzione visto che la percentuale di consumatori interessata ad acquistare on line è scesa al 42,4%, 8 punti in meno rispetto a una settimana fa. Infatti si preferisce rimandare qualsiasi acquisto fashion alla conclusione dellemergenza (53,8%, + 12 punti rispetto a sette giorni prima). La chiusura dei negozi non sembra quindi stimolare lacquisto on line: i nuovi acquirenti sono meno del 4%. Fra gli acquirenti abituali la percentuale di coloro che hanno ridotto i loro acquisti on line è cresciuta al 54,1% (il 37,3% una settimana fa). Inoltre i consumatori segnalano anche crescenti disservizi, soprattutto per quanto riguarda la consegna: tempi non garantiti (33,2%), allungati (24,5%) o non rispettati (19,1%). Si riduce significativamente la percentuale di coloro per i quali funziona tutto regolarmente (24,1%, era 35,4% una settimana fa) e inizia a emergere lopinione che non sia opportuna la circolazione di merci e corrieri per diminuire il rischio di contagio e tutelare anche i lavoratori.
Il recente divieto di vendita dellAbbigliamento anche nel canale Food, segnalato da cartelli allinterno del punto vendita, non ha impedito del tutto gli acquisti: la maggior parte della clientela (71%) ha dichiarato di non aver notato lavviso ed è riuscita a effettuare lacquisto.
La situazione attuale sembra incidere sempre di più nei comportamenti futuri: aumentano coloro che dichiarano che si recheranno in negozio solo se strettamente necessario (31,6%, +9 punti rispetto a una settimana fa) evitando giorni e orari di punta (27,5%, +3 punti). Il negozio appare ora meno rassicurante che in passato e quindi meglio ci si sta e meglio è. Dai consumatori stessi arrivano indicazioni per la strategia futura: ligiene al primo posto e quindi pulizia e sanificazione degli ambienti (50% degli intervistati), dispenser igienizzanti allingresso (46,8%), rassicurazioni sulle procedure di sanificazione del negozio (24,2%). Ugualmente importante limitare gli accessi per evitare affollamento (33,6%).
Ma lindicazione più interessante forse è la voglia di Made in Italy che rappresenta un valore di sicurezza per i consumatori e insieme un supporto allindustria nazionale, una convinzione che cresce al progredire dellemergenza: il 23,7% dei consumatori, il triplo di due settimane fa, richiede la valorizzazione del Made in Italy in assortimento.
Un ultimo punto: diverse aziende si stanno riconvertendo, almeno parzialmente, alla produzione di mascherine, camici e capi per gli operatori sanitari. I consumatori, anche se spesso non ne ricordano i nomi, sono a conoscenza di questa operazione (75%) giudicandola certamente molto lodevole) punteggio medio di 9,2 in una scala 1-10).
FONTE: Osservatorio settimanale Fashion ed Emergenza Sanitaria, Sita Ricerca, 23 marzo 2020
FASHION & EMERGENZA SANITARIA - 23 MARZO.pdf