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FASHION ED EMERGENZA SANITARIA

25 Marzo 2020

Uno dei settori più toccati dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria è l’Abbigliamento: la chiusura dei negozi è stata la classica “mazzata” per un mercato in difficoltà già da diversi anni. Si sa che i consumatori italiani amano lo shopping, il “girar per negozi” ma in questa situazione si dichiarano d’accordo con la decisione del Governo. In una scala di accordo da 1 a 10, il punteggio è oltre il 9, di fatto un’approvazione pressoché incondizionata. La chiusura dei negozi è necessaria perché bisogna contenere la diffusione del virus (59,9% degli intervistati) e a tale scopo bisogna limitare il più possibile i contatti fra le persone (55,6%) anche perché l’Abbigliamento non è percepito come un bene di necessità (33,9%).

Un’alternativa all’acquisto nel negozio “fisico” è il canale on line ma solo in caso di necessità e neanche con troppa convinzione visto che la percentuale di consumatori interessata ad acquistare on line è scesa al 42,4%, 8 punti in meno rispetto a una settimana fa. Infatti si preferisce rimandare qualsiasi acquisto fashion alla conclusione dell’emergenza (53,8%, + 12 punti rispetto a sette giorni prima). La chiusura dei negozi non sembra quindi stimolare l’acquisto on line: i nuovi acquirenti sono meno del 4%. Fra gli acquirenti abituali la percentuale di coloro che hanno ridotto i loro acquisti on line è cresciuta al 54,1% (il 37,3% una settimana fa). Inoltre i consumatori segnalano anche crescenti disservizi, soprattutto per quanto riguarda la consegna: tempi non garantiti (33,2%), allungati (24,5%) o non rispettati (19,1%). Si riduce significativamente la percentuale di coloro per i quali funziona tutto regolarmente (24,1%, era 35,4% una settimana fa) e inizia a emergere l’opinione che non sia opportuna la circolazione di merci e corrieri per diminuire il rischio di contagio e tutelare anche i lavoratori.

Il recente divieto di vendita dell’Abbigliamento anche nel canale Food, segnalato da cartelli all’interno del punto vendita, non ha impedito del tutto gli acquisti: la maggior parte della clientela (71%) ha dichiarato di non aver notato l’avviso ed è riuscita a effettuare l’acquisto.

La situazione attuale sembra incidere sempre di più nei comportamenti futuri: aumentano coloro che dichiarano che si recheranno in negozio solo se strettamente necessario (31,6%, +9 punti rispetto a una settimana fa) evitando giorni e orari di punta (27,5%, +3 punti). Il negozio appare ora meno rassicurante che in passato e quindi meglio ci si sta e meglio è. Dai consumatori stessi arrivano indicazioni per la strategia futura: l’igiene al primo posto e quindi pulizia e sanificazione degli ambienti (50% degli intervistati), dispenser igienizzanti all’ingresso (46,8%), rassicurazioni sulle procedure di sanificazione del negozio (24,2%). Ugualmente importante limitare gli accessi per evitare affollamento (33,6%).

Ma l’indicazione più interessante forse è la voglia di Made in Italy che rappresenta un valore di sicurezza per i consumatori e insieme un supporto all’industria nazionale, una convinzione che cresce al progredire dell’emergenza: il 23,7% dei consumatori, il triplo di due settimane fa, richiede la valorizzazione del Made in Italy in assortimento.

Un ultimo punto: diverse aziende si stanno riconvertendo, almeno parzialmente, alla produzione di mascherine, camici e capi per gli operatori sanitari. I consumatori, anche se spesso non ne ricordano i nomi, sono a conoscenza di questa operazione (75%) giudicandola certamente molto lodevole) punteggio medio di 9,2 in una scala 1-10).

FONTE: Osservatorio settimanale “Fashion ed Emergenza Sanitaria”, Sita Ricerca, 23 marzo 2020

FASHION & EMERGENZA SANITARIA - 23 MARZO.pdf