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I Manager Assirm si raccontano: intervista a Luigi Giampaoli – Direttore Commerciale GMC Ricerche

10 Luglio 2014

Intervista a Luigi Giampaoli

Da dove nasce la passione della ricerca?

Dai numeri. Da piccolino ero bravissimo in matematica. Alle elementari vincevo tutte le gare indette dalla scuola con una naturalezza che sorprendeva anche me stesso.

Credo che il tutto sia nato dal fatto che ero costantemente in contatto con la realtà commerciale; i miei genitori possedevano un negozio di casalinghi/ferramenta e, vivendo in un negozio, quello con cui ti trovi in contatto tutti i giorni sono i conti.

Questo passaggio della mia infanzia ha senza dubbio influenzato la mia vita. Ricordo che tenevo statistiche di tutto, seguivo l’andamento dei cambi, seguivo l’andamento delle temperature. Le statistiche sono state un pallino che mi ha accompagnato da sempre.

All’epoca non ero consapevole di questa mia profonda inclinazione verso il mondo della ricerca e, d’altra parte, gli studi che ho intrapreso sono stati di tutt’altro tipo e tendenti all’economia politica, neanche al marketing. All’epoca il marketing non dico che non esistesse ma era una realtà ancora troppo indefinita, era meno importante.

Combinando un po’ la passione per la matematica e la statistica, un po’ gli studi di economia politica che mi permettevano di analizzare i macro fenomeni che attraversavano il paese, la mia vocazione per la ricerca era alle porte.

Quali studi consiglia a un giovane che vuole avventurarsi in questo settore?

A monte di questo discorso quello che mi sento di consigliare ai giovani è di fare una profonda analisi dei propri talenti. Capire i propri punti di forza e di debolezza è la chiave per progettare al meglio il proprio percorso; non si deve mai smettere di farlo, nemmeno a 50 anni.

Non consiglierei tanto di intraprendere studi matematici o statistici che sono molto tecnici (a meno che uno non voglia occuparsi di analisi molto verticali, di elaborazioni statistiche ad altissimi livelli di sofisticatezza. Interessanti sì, ma non fondamentali per un ricercatore), mi orienterei più su studi economici e/o sociologici che permettono di vedere il tutto un po’ più dall’alto.

Un altro consiglio che mi sento di dare, ribadendo il suggerimento di  Steve Jobs, è “siate curiosi, siate affamati”. Una persona curiosa, una persona che sa tutto, che sa affrontare discorsi dalla storia, alla politica e le nuove leggi, che se si trova a parlare di un nuovo prodotto della multinazionale X già lo conosce, è una persona che calza a pennello con la ricerca. E’ una persona interessante. Una persona insomma che legge molto, che si incuriosisce molto, che quando guarda la società è attenta, cerca di dare delle interpretazioni e non è ghettizzata nella sua piccola realtà.

Da ricercatore a capo di un’azienda. Com’è stata la carriera di Luigi Giampaoli?

Gratificante. E anche imprevedibile. Ho avuto la fortuna di fare qualcosa che amavo e che amo con la stessa intensità oggi.

Subito dopo la laurea ho lavorato per un anno in Università Bocconi. E’ stata un’esperienza importante. Un professore aveva bisogno di un assistente ed è stato grazie a questo che ho avuto il primo approccio con Nielsen, che tra l’altro già conoscevo.

Per il professore universitario facevo interviste in svariati settori. Un’esperienza devo dire molto formativa perché ho conosciuto la realtà aziendale, le logiche ad essa sottostanti, le varie dinamiche. Intervistavo il personale, il marketing, la logistica. Insomma avevo la possibilità di costruirmi una visione a 360° di quella che è la realtà aziendale.

Ho condotto delle interviste anche in Nielsen (addirittura ho intervistato una persona che non sapevo sarebbe diventata, poco dopo, il mio capo).  Ricordo con esattezza che tre giorni dopo l’intervista in Nielsen fui contattato da un cacciatore di teste che mi chiese se fossi stato interessato a lavorare “nel magico mondo dei numeri”, senza però specificare per quale azienda. Dopo altri tre giorni ero in Nielsen. E per questo devo ringraziare il mio pallino per i numeri. E’ stato penso questo che ha permesso al mio interlocutore di vedere qualcosa di interessante, e in qualche modo unico, in me.

E questa è la mia storia. Sono nato in Nielsen, sono stato un anno e mezzo lì dopodiché la Nielsen ha comprato la CRA e sono passato in CRA dove ho fatto la mia carriera da ricercatore per 10 anni. Nel 1999 ho fondato con Moneta Gmc. Ho sempre avuto il pallino di creare un’azienda, mettermi in proprio e credo che questa passione sia nata proprio dal fatto che ho sempre lavorato in un negozio. Assieme ai miei genitori mi interfacciavo ogni giorno con la realtà commerciale: con una realtà micro imprenditoriale. La mia famiglia ha sempre avuto in mente la libera professione, il “non andare sotto padrone”, come dicevano loro, e questo è stato fondamentale nell’influenzare le mie aspirazioni. L’altro aspetto che penso sia stato importante è che credo sia più facile aprire un’azienda se si lavora/si ha lavorato in un’azienda piccola. In questo modo hai l’occasione di vedere tutti gli aspetti relativi alla gestione dell’azienda.

La fortuna che ho avuto e quello che mi ha aiutato a diventare capo di un’azienda è stato il mio incontro con Marco Moneta, che aveva un’esperienza imprenditoriale ultradecennale e che colgo l’occasione per ringraziare.

Abbiamo così fondato, la (a quei tempi) GMR e l’avvio è stato devo dire un po’ casuale. Il tutto è nato da una customer satisfaction di tre anni, lavoro commissionatoci a seguito di un incontro al parco, facendo un giro in bicicletta!

Poi si è unito anche Silvio Cantoro, mente tecnologica e Gmc ha fatto un ulteriore balzo.

Le nuove tecnologie e Internet stanno cambiando le ricerche di mercato? Rappresentano un valore aggiunto o un ostacolo?

Le ricerche, come ogni settore economico, con l’avvento del pensiero www e con tutto ciò che ne consegue, tendono a cambiare pelle. Utilizziamo le nuove tecnologie per profilare i contatti, cercare nuovi strumenti per il data collection, per la lettura, l’elaborazione e l’interpretazione dei dati. Noi ogni anno investiamo il 10% del fatturato in R&S tecnologico, con un team di Ingegneri informatici, ricercatori ed analisti. Credo profondamente che le tecnologie, usate nella giusta misura e direzione, siano una vera opportunità. La criticità a mio parere risiede nel “time to market” dei nuovi prodotti:  il fattore “tempo” credo sia in assoluto la variabile che più di tutte incide sul successo dell’innovazione, bisogna quindi pensare in anticipo e agire in fretta.

Penso, ad esempio, a tutti i sistemi d’indagine fatti con l’aiuto di smartphones come il nostro servizio di mistery shopping/client tramite cui, in tempo reale, si annotano e s’inviano le informazioni richieste direttamente dal luogo dell’”ispezione”, agli strumenti di geo-marketing o, anche, ai potenti strumenti di analisi di dati complessi per ridurre i numerosi incroci ad indici leggibili e di facile interpretazione. Questi prodotti, pensando solo a dieci anni fa, sembravano impossibili ma evidenziano come di fatto sia trascorsa “un’era”.

Valore aggiunto assolutamente sì: più creatività, più informazioni, velocità elevatissime e costi molto competitivi.

E’ cambiato il mondo della ricerca rispetto a quando ha iniziato? Se sì, in che modo?

Indubbiamente ma anche inevitabilmente direi che il mondo delle ricerche è cambiato.

L’era tripla “W”, come ci piace definirla, ha cambiato tutto, tenuto comunque conto che il nostro è sempre stato un settore un po’ lento nell’introdurre innovazione. Le ricerche di mercato sono partite in ritardo dal punto di vista tecnologico: primo perché il paese Italia è abbastanza in ritardo su tutta una serie di aspetti economico-sociali, secondo perché la domanda e l’offerta erano create da persone a volte poco proattive nei confronti delle nuove tecnologie, credo forti del vecchio adagio “cavallo che vince non si cambia”. Oggi potremmo leggere un importante corollario: “cavallo che perde va cambiato”. 

16 - Giampaoli - GMC - 10 luglio.pdf